Erri De Luca scrive: Ogni generazione ha la sua città. Noi abbiamo avuto Sarajevo. Io dico. Noi abbiamo avuto i Balcani. Perché quello che è avvenuto negli anni ’90 è stato un movimento che ha costruito una fitta rete di relazioni che partivano da tanti piccoli e sconosciuti posti d’Italia e li legavano a tanti piccoli e sconosciuti posti dei Balcani. Villaggi di Slovenja, Croazia e di Bosnia. I luoghi della guerra. I luoghi dell’accoglienza. I luoghi dei passaggi obbligati nei viaggi. Ognuno di noi ha i suoi. Il mio campo profughi era Smartinska, a Lubiana. E poi Kocevje. Quello di Paolo e Silvio era Novo Mesto. L’altro Paolo era Vic, quelli di Como erano Skofja Loka, quelli di Torino Postumia e Ajdoscina…. E “i miei profughi” erano di Travnik, altri di Kljuc, Krupa, Sapna…
In quel momento in Italia era tempo di Mani Pulite. Di disillusione politica. Era tempo di mafia che uccideva. Eravamo usciti dalla Milano da bere. C’era appena stata la guerra del Golfo che ci aveva riportato la guerra in casa ma sembrava un videogioco notturno. E non c’era internet e le notizie si seguivano stando svegli di notte davanti alla tv. E il pacifismo in Italia era fatto da gente adulta che manifestava con i cartelli per il disarmo. La cooperazione era fatta di ong divise in cattoliche e di sinistra (con una intersezione tra le due parti). Le prima andavano in Africa seguendo le esperienze dei missionari. Le seconde in America Latina appoggiando le lotte di liberazione. L’associazionismo aveva appena scoperto l’economia e l’idea di terzo settore e con Acli e Arci quasi sempre compatte e in prima fila lanciava idee e campagne e iniziative che poi sono diventati stabili.