Attendendo l'Aurora

Aprile 2012 

Riflessioni sulle Acli di oggi e domani
a partire dalla lettura e presentazione del libro L'assillo della Fede

La prima sensazione è l'emozione da blocco alla bocca dello stomaco. Di quando ci si trova di fronte a qualcosa di “vero”. Qualcosa in cui in parte ti riconosci (come anelito) in parte vedi subito, a colpo d'occhio, tutto lo scarto.
Poi, dolorosamente, la “nostalgia” di qualcosa che non hai vissuto. Il rimpianto di non esserci stata. La rabbia, persino, di avere in dote questi tempi e non quelli. E' un attimo, ma c'è. E' innegabile.
Quindi la sensazione di vedere una staffetta. Un corridore che corre, col testimone in mano. Si volta. Non vede nessuno ad afferrarlo e a proseguire la corsa. Lo stupore incredulo, prima di tutto, sul suo volto.
E infine la sensazione di responsabilità. Personale e collettiva. Di quella caduta, o di una raccolta. Ma anche della differenza tra i tempi. E del cambiamento che manca.

E allora, ok. Noi non siamo quelli. I nostri tempi non sono quelli. Noi non siamo santi. Nè eroi. Nè leader. Siamo immersi, totalmente, anche noi, nello spaesamento di popolo E siamo schiavi della schiavitù del breve termine. Ma tocca a noi darci da fare almeno per essere migliori (non “i migliori”). Cercando di capire cosa ci serve, cosa ci manca. E cosa, di allora, possiamo accogliere e tramandare. Io ho trovato 4 perle. Per ora. Un filo, e un piccolo gancetto per chiudere il tutto.

Le 4 perle:

La Parola. Non è una novità. Marco ce lo (ri)diceva l'altra settimana. Non puoi rimpiangere la mancanza degli effetti della Parola nella tua vita (o nella vita collettiva) se non ti fermi a darLe spazio. Costantemente. Quotidianamente. Non di regole ma di ritmi ha bisogno la vita secondo il Vangelo. La Parola non ti converte, non ti forgia e non ti scava, se non gliene dai la possibilità. E' talmente chiaro ed evidente da essere quasi banale. Serve solo una decisione. E l'aiuto reciproco per farlo.

I Maestri. “Noi avevamo gran gusto quando andavamo a caccia di maestri”. Mi colpisce come la vita “di quel gruppo” fosse costellata dai maestri. E di come queste “scoperte” (dirette o mediate dagli scritti) segnassero i percorsi individuali. E di come “gli incontri” (seminari, convegni) facessero altrettanto nei percorsi collettivi. I maestri non capitavano per caso. Venivano cercati attivamente. Non per riempire una scaletta di un momento da organizzare. Ma come di qualcosa di cui c'è realmente bisogno, per vivere. Come se l'esperienza personale ed associativa fosse una domanda costantemente aperta. E se qualsiasi azione fosse una ricerca infinita di risposte. Non trovo paralleli con “il nostro gruppo” (E non si tratta solo di investire di più sull'Ufficio Studi o su una Rivista). Si tratta di riscoprire assieme il bisogno della domanda e poi muoversi di conseguenza.

I compagni di strada. “Abbiamo bisogno di compagni. Essi dividono il pane con noi (come dice l'etimologia della parola) ma sono essi stessi pane per noi, nutrimento per noi”.”Per noi la convivialità non è stata un obiettivo politico, ma una antropologia del quotidiano”. “Abbiamo bisogno di compagni con cui condividere quanto cerchiamo di vivere”. Compagni che ci permettono di vedere dove noi non vediamo, che ci rinfrancano nei momenti di stanchezza, che ci danno la gioia della comunione e dell’amicizia. Che ci sottopongono (in modo nonviolento ma feroce) alla critica esigente, che non ci fanno sconti. Che ci mostrano impietosamente gli errori e i limiti. Forse questo è un concetto più approcciabile, per noi, della fraternità (di cui abbiamo parlato molto e poco siamo riusciti a praticare). E forse, prima di pensare di essere capaci di realizzarlo con quelli che hanno idee politiche e associative differenti da noi, possiamo cominciare a realizzarlo ognuno con i suoi. Sono convinta che questo già farebbe la differenza (per tutti). Forse nel cercare maestri incontreremmo anche possibili compagni di strada. Stiamo pensando a come costruire la squadra futura. Sarebbe interessante tenere presente questo nel farlo.

I ruoli. I profeti non sono condottieri. I condottieri non sono profeti. Ma c'è bisogno di entrambi. Senza la pragmaticità dei condottieri non si cammina. Senza la radicalità dei profeti ci si muove senza arrivare da nessuna parte. Compito dei condottieri è sapersi circondare da profeti. E continuare ad ascoltare. Lasciando visibile lo scarto, lasciando aperta la contraddizione, accettando l'inquietudine, la fatica e il dolore che ne deriva. Stiamo cercando di costruire la squadra futura. E stiamo cercando il condottiero. Ma non stiamo dimenticando di cercare i profeti?

Il filo: A che servono le Acli, Cosa serve per guidare le Acli

Siamo una grande organizzazione popolare o ci illudiamo di esserlo solo perchè siamo nati come grande organizzazione popolare di lavoratori cristiani? Siamo convinti di essere immortali, solo perchè, come il calabrone di Einstein, abbiamo sempre volato pur essendo inadatti al volo? Siamo in crisi come tutta la società civile, il terzo settore, i corpi intermedi. Ci piace pensarci come una lobby democratica e popolare, espressione di tutte quelle esigenze della gente che i partiti non riescono a rappresentare. Ma rischiamo di essere troppo simili ai partiti (poco democratici, poco popolari, incapaci di rappresentare e a volte anche di riconoscere). E poi la gente è soggetto plurale e molto composito. Con interessi ed esigenze contrastanti. Abbiamo ancora bisogno di capire quale parte (passata l'era degli operai, superata anche quella dei lavoratori) vogliamo rappresentare. E non possiamo dimenticare che abbiamo deciso e detto che siamo usciti dal 900. E quindi la semplice dichiarazione di collocarci nel centro sinistra non è una risposta a questo, è semmai solo un'indicazione generale e la scelta di una squadra per cui tifare (o in cui giocare) nelle prossime partite.
Siamo impreparati all'oggi, quindi. Ma, per una qualche forma di fortuna, è già tempo di domani. Siamo di fronte ad una profonda trasformazione della realtà circostante. Cambia la politica, cambia l'economia, cambia il lavoro, cambia il rapporto tra il qui e l'altrove, cambia l'equilibrio tra nazionale e territori, cambia la Chiesa... O le Acli sapranno nuovamente e profondamente trasformarsi, dando gambe alla quarta fedeltà (quella più recente e meno approfondita, quella al futuro) o non avranno un futuro. Che poi, che le Acli abbiano un futuro non è né dovere né obiettivo. Le Acli restano sempre solo uno strumento. Per migliorare il mondo. Se non riescono a trovare un modo per migliorarlo, non serve che abbiano un futuro. Dispiace, certo, e pure molto, ma se non partiamo da qui credo che non ci muoviamo nella giusta direzione.
Se non fossimo arrivati impreparati all'oggi in questo momento staremmo scegliendo il futuro presidente in una rosa di diversi candidati con diverse visioni di futuro, e diverse ipotesi di mission per le Acli. Ma non è questa la situazione. Allora la scelta non può che essere in base alla capacità di guidare il processo che porta ad identificare l'idea di missione ed identità per le Acli per il presente e futuro (da cui poi deriva l'assetto e il modello organizzativo e tutto il resto). Non possiamo permetterci di scegliere pensando a chi meglio gestisce l'attuale assetto, quello che lo organizza meglio o lo difende meglio (da attacchi interni od esterni) o (parole orrende ma di moda) lo moralizza o efficientizza. Dobbiamo scegliere pensando a chi sa aiutare le Acli di oggi a chiedersi se avranno ancora senso domani.

Cosa serve per guidare questo processo? Non l'identikit di un astratto presidente ideale. Ma alcune caratteristiche (in ordine sparso, quasi un elenco provvisorio e incompleto) della direzione nella quale il presidente (assieme a tutta la squadra) che verrà dovrà muoversi. Chiunque esso sia. Prima di tutto, prendere sul serio la domanda di senso sulle Acli (cercare il senso prima del consenso). Non perdere la capacità di ascoltare, pensare e discernere. Cercare maestri e circondarsi di profeti. Non perdere mai di vista l'obiettivo del bene comune e del mondo da migliorare. Dare tempo e spazio alla Parola. Trovare l'equilibrio per sorreggere la solitudine del ruolo e l'inquietudine del compito, evitando che diventino insostenibili (per sé, per la squadra, per il movimento). Avere compagni di strada fidati e un rapporto sereno con consenso, tempo, potere e soldi (sapendo che creano dipendenze). Evitare di affogare nella gestione dei problemi contingenti. Ma anche esercitare la verifica di coerenza tra obiettivi ed azioni e tra bisogni e risposte. Saper intuire, valorizzare, collegare, interpretare. Dare strada senza farsi strada. Usare più la capacità di convincere che quella di vincere. Attivare la collaborazione (se si ha un ruolo di vertice, questo si può fare solo con la convinzione che da soli non si ha la capacità di svolgere il compito, altrimenti al massimo si attiva coordinamento). Esercitare più leadership che managment (in un'organizzazione servono entrambe ma dalla prima mi aspetto la ricerca del nuovo paradigma, dalla seconda l'azione, anche competente e creativa, all'interno del paradigma dato). Saper innescare la generatività già presente nella squadra e nel movimento. “Lasciate alle spalle le sirene dell’onnipotenza, la persona generativa non si pensa come un dio capace di evocare qualsiasi cosa, ma più modestamente come una levatrice che può aiutare a far nascere ciò che matura attorno a sé e che, per venire alla luce, ha bisogno di dedizione”.

Il gancetto:
La collana Profili (come ho detto a cena) è un modo per rendere omaggio a quei giusti. E (se non vado errata) è stata inventata proprio da Pino Trotta. Sono 3 anni che non esce. Riprendiamola. Non è questione di soldi. Facciamolo solo on line. Ma curiamo la memoria, piantiamo le piante nel giardino dei giusti.


I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...