Noi come cittadini, noi come popolo

Il popolo mai sbaglia. 

L'ha detto Papa Francesco la settimana scorsa in aereo, mentre rientrava dalle Filippine . Anche se parlava a braccio non era una frase buttata lì, non era riflessione improvvisata. Il popolo, per lui,  è sicuramente un concetto di approfondimento sedimentato e rielaborato...
Noi come cittadini, noi come popolo
è il discorso che l'allora cardinal Bergoglio fece a Buones Aires nel 2010, in occasione del bicentenario dell'indipendenza. In Italia è stato pubblicato in un libro Jaca Book del 2013. E' un testo interessantissimo e che contiene molto di ciò che poi si ritrova nella Evangelii Gaudium (in cui, dicono che popolo compaia 164 volte).

Ma, cosa si intende con il termine popolo?
La categoria popolo è ambigua. non per povertà ma per eccesso di ricchezza. Da un lato infatti può indicare il popolo (nazione); dall'altra può indicare le classi e i settori sociali popolari. La Copeal lo intese soprattutto nella prima accezione, a partire  dall'unità plurale di una cultura comune radicata in una storia comune e proiettata verso un bene comune condiviso. 
A spiegarlo è Padre Scannone in un articolo per Civiltà Cattolica e ripreso anche in una relazione
La teologia del pueblo. Una prospettiva argentina tenuta a Roma a fine marzo 2014.

La teologia del pueblo è una delle 4 correnti della teologia della liberazione e si sviluppa in Argentina. Come tutta l'esperienza della teologia della liberazione si caratterizza per il porre l'opzione preferenziale per i poveri come punto di partenza e luogo ermeneutico. Si caratterizza per il privilegiare un'analisi storico-culturale a quella socio-strutturale e, in base alla convinzione della superiorità della realtà all'idea, esprime una critica delle ideologie, sia di stampo liberale che marxista e delle categorie di comprensione e strategie di azione che vi corrispondono.

E proprio in quanto esperienza imbevuta della realtà latinoamericana è profondamente incarnata e inculturata. Ed è profondamente politica. La riflessione culmina sempre in vocazione politica, nella chiamata a costruire con altri un popolo-nazionale, un'esperienza di vita in comune attorno a valori e principi, a una storia, a costumi, lingua, fede, cause e sogni condivisi...  Il progetto politico deve avere come autore un soggetto storico che sia il popolo e la sua cultura, non una classe, una parte, un gruppo, un'élite. 

Popolo è una categoria storica e mitica. Non è un fatto automatico. Si tratta di un processo. Farsi popolo.  Popolo è la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole ed unita in vista di un obiettivo o un progetto comune.  La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nell'ambito di un popolo in cammino.  

Ma anche dal punto di vista dei contenuti per il Bergoglio cardinale il progetto politico ha connotati precisi: una definizione di sviluppo che includa tutte le persone in tutte le loro dimensioni (cosa su cui è più facile mettersi d'accordo in una fase di espansione che in clima di ristrettezza). Un progetto di sviluppo che privilegi la lotta contro la diseguaglianza e la povertà. 

Il processo di costruzione (integrazione) del popolo si fonda sull'idea della persona sociale che attraversa il passaggio da abitante e cittadino e da cittadino ad appartenente ad un popolo. Il tutto orientato al bene comune. Cittadino viene dal latino citatorium. Il cittadino è il convocato, il chiamato al bene comune. Cittadino non è il soggetto preso individualmente come lo presentavano i liberali classici, né un gruppo di persone indistinte, ciò che in termini filosofici si definisce unità di accumulazione. Si tratta di persone convocate a creare un'unione che tende al bene comune. Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati ad una lotta, lotta di appartenenza ad una società e ad un popolo. Lotta per smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo.  

Ma, chi convoca? La realtà, non l'idea. E nemmeno la parola (con la minuscola).  Perché la realtà è. L'idea si elabora, si induce. Non c'è autonomia tra idea (parola) e realtà. Non c'è subalternità della realtà all'idea. I nominalismi non convocano mai. Tutt'al più classificano. Ciò che convoca è la realtà illuminata dal ragionamento, dall'idea e dalla loro percezione intuitiva.

L'unità è superiore al conflitto, ma il conflitto esiste e la teologia del popolo non lo ignora. Riconosce la realtà dell'antipopolo (che, pur appartenendo al popolo, si pone contro di esso), del conflitto e della lotta per la giustizia. Non assume la lotta di classe come principio di comprensione della società e della storia (se ci fermiamo alla conflittualità della congiuntura perdiamo il senso dell'unità). Ma assegna al conflitto un posto rilevante nel processo di sviluppo. Bisogna farsi carico del conflitto, bisogna viverlo. I conflitti non possono essere ignorati, ma non si deve nemmeno restarne intrappolati o pensare di trasformarli nella chiave del progresso.  Si tratta di  immergersi nel conflitto, compatire il conflitto, risolverlo e trasformarlo nell'anello di una catena, in uno sviluppo. 

Il tutto è superiore alla parte. Il modello è il poliedro. Il poliedro è l'unione di tutte le parzialità, che nell'unità mantiene l'originalità delle singole parzialità. Il tutto del poliedro non è il tutto sferico. Lo sferico non è superiore alla parte, la annulla. Si assiste alla riduzione del bene comune al bene particolare, si cerca una bontà che non essendo affiancata dalla verità e dalla bellezza, finisce per diventare bene privato, riservato solo a sé o al proprio gruppo. Una sfida per il cittadino, quindi, è salvaguardare questa unione di bontà, verità e bellezza, senza lacerazioni, in vista di un'esperienza di popolo, di un noi come popolo. 


Il tempo è superiore allo spazio. L'abbiamo tutti letto e citato nell'Evangelii Gaudium. Ma c'era già tutto qui: nell'attività civile, nell'attività politica, nell'attività sociale, è il tempo che governa gli spazi, che li illumina e li trasforma in anelli di una catena, di un processo. uno dei peccati che a volte si riscontrano nell'attività socio politica sta nel privilegiare gli spazi di potere rispetto al tempo dei processi. 

Di fronte a questo, la diagnosi di inefficacia della politica non può che essere legata alla lontananza tra governanti e popolo. La diagnosi del divorzio tra elite e popolo figura nella maggior parte dei lavori di analisi della nostra evoluzione storica. Ma continuiamo a dimenticarla.  La nostra politica spesso non si è messa al servizio del bene comune. Non ha saputo, non ha voluto o non ha potuto mettere limiti, contrappesi, equilibri al capitale per sradicare le diseguaglianza e la povertà che sono i flagelli più gravi di questo momento storico. Su questo argomento non ci sono posizioni ufficiali e opposizione, c'è solo una sconfitta collettiva.  

Padre Pepe (prete impegnato nelle periferie di Buenos Aires) riassume così il rapporto con l'allora Cardinal Bergoglio: "Ascoltava le nostre proposte e quando vedeva che stavamo lottando per qualcosa per cui valeva la pena, che aveva a che fare con le nostre convinzioni ci diceva

Se lo vedete, cominciate

E forse il primo passo per farsi popolo sta proprio lì: intravedere non individualmente quale lotta sostenere,  riconoscere il qualcosa per cui vale la pena lottare, quello che davvero a che fare con le nostre convinzioni e con un bene realmente comune.  














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