Il recente incontro con il Papa ci ha consegnato una quarta
fedeltà. Che poi non è una quarta ma (come era già avvenuto per l'altra quarta fedeltà, quella al futuro) è soprattutto una possibile sintesi e declinazione delle altre tre. E' impossibile non leggere il tema dei poveri in più
dimensioni:
C'è una dimensione di fede. Perché il tema dei poveri richiama il
Concilio Vaticano ma, ancora prima e più a fondo, richiama il messaggio evangelico.
La fedeltà ai poveri, perchè i poveri sono i destinatari privilegiati del
messaggio evangelico di salvezza. Potremmo persino dire che la fedeltà ai
poveri risponda ad un moto sanamente "egoistico". E' un moto che
"serve a noi" ed al nostro (personale e collettivo) percorso di
conversione.
C'è una dimensione economico/sociale. La fedeltà ai poveri
è una fedeltà non nei confronti di un concetto astratto. Non alla povertà (come per la democrazia). Ma a persone concrete e reali. I poveri che esistono oggi e
che incontriamo (o che non siamo in grado di incontrare abbastanza oggi).
C'è una dimensione politica. E' quella forse più intrigante. Per Acli che si collocano, da sempre, sulla frontiera tra società, chiesa e politica.
Fedeltà ai poveri
credo voglia dire fedeltà ad un impegno per il cambiamento, verso una società
caratterizzata da minore povertà, minore disuguaglianza, maggiore giustizia
sociale. Non un cambiamento "in nome dei poveri". Ma un cambiamento
che sappia coinvolgere i poveri. "Far strada ai poveri, non farsi strada
attraverso i poveri".
Parlare di fedeltà richiama l'idea di un patto. Ed il patto è
qualcosa che non si può fare da soli. Il patto si fa con un altro da noi. Vuol dire Acli “in
uscita” che vanno a cercare altri. Compresi i poveri, gli esclusi, i discriminati...non solo li accolgono, ma li cercano, per fare un
patto con loro. Un patto cui essere fedeli. Un patto che impegna. Al quale
poi si possa essere richiamati e su cui si possa essere verificati.
Un patto con i poveri, una promessa fatta ai poveri... è un impegno esigente. Fa anche un po'
paura, a voler guardare... Ma... si sa... noi siamo quelli che non si fanno
spaventare dai grandi compiti... anzi, mi verrebbe da dire, noi siamo quelli che si fanno spaventare dall’assenza di un grande compito. Da una
routine di gestione quotidiana in cui la fatica non trova né senso né
orizzonte.
Ma se l'orizzonte è questa fedeltà. E se la fedeltà ai poveri è fedeltà ad una lotta per il
cambiamento (questo Papa usa moltissimo
la parola "lotta")...quali sono i cardini dell'impegno? Io ne
ho trovati alcuni, a mio parere molto stimolanti per le Acli, nel testo "Noi come cittadini, noi come popolo"
che è un discorso del 2010 che l'allora Cardinal Bergoglio fece a Buenos Aires.
Provo a tratteggiarli sinteticamente...
1. L'idea di popolo.
L'idea di popolo è un'idea che a me pare estremamente
affascinante e preziosa da esplorare. Come Acli abbiamo sempre detto che siamo
un'associazione popolare. Oggi sarebbe bello declinare questo essere popolare
con l’essere un’associazione di popolo. Cioè un’associazione che oltre a saper
stare con la gente semplice, sappia anche contribuire a costruire un popolo. Cioè
a tenere assieme persone ed istanze
anche contrapposte in una unità complessiva. Il popolo è una unità plurale. Parte da una cultura comune, si radica in un storia che è comune (e
che sa riconoscere come comune). Si esprime in un insieme di territori. Si proietta verso un bene comune condiviso,
comunemente individuato. A me pare che contribuire alla costruzione di un'identità di popolo in Italia, all'interno di una idea di Europa di popoli, sia un grande compito possibile, conseguenza dell'essere fedeli ai poveri.
2. Il progetto politico
La fedeltà ai poveri è data da scelte di coerenza, da iniziative
di solidarietà, da vicinanza alle persone e da ricerca personale di fede. Ma
questo non basta. La fedeltà ai poveri è data da un progetto politico di società che sappia immaginare e proporre i modi per esprimere una opzione preferenziale per i poveri. Non un progetto politico
che abbia come soggetto storico solo i poveri. Un progetto politico che abbia come
soggetto storico il popolo. In un farsi progressivo e mai terminato. In una
costruzione di cittadinanza popolare impegnata, riflessiva, consapevole ed unita, in
vista di un obiettivo comune. In una prospettiva di storia data dal succedersi di
generazioni.
La lettura della realtà di oggi non può che riconoscere una sconfitta collettiva. Non è questione di governo ed opposizione. E' questione
di riconoscere collettivamente e comunemente che il paese che abbiamo costruito non è fedele ai poveri. E che la politica non si è sempre
messa al servizio del bene comune. Non ha sempre saputo, voluto o potuto
mettere limiti e contrappesi al capitale per sradicare diseguaglianza e
povertà. Ed è una sconfitta che vede come causa ed effetto anche un'idea di
politica inefficace. In cui la distanza tra la politica ed il popolo è andata aumentando.
E che di converso ha visto la politica rincorrere il popolo attraverso i populismi,
di varia natura, invece di assumere il proprio ruolo di responsabilità e
governo. Credo che dare il proprio contributo alla
ricostruzione di una politica più responsabile ed efficace, meno legata ai
populismi, meno lontana dal popolo sia un grande compito possibile, conseguenza dell'essere fedele ai poveri.
3. Una attività di cura capacitante
La fedeltà ai poveri è data da un fare libero, creativo, partecipato e solidale organizzato nei circoli,
nelle forme associative specifiche, nelle attività dei servizi e delle imprese
(quelle tradizionali e quelle nuove che possiamo e dobbiamo scoprire ed
avviare) coerenti al progetto politico. Ossia da un intraprendere pensato ed
organizzato perchè la persona che lo incrocia (sia essa il socio, il lavoratore
dell’impresa, la famiglia che vi si rivolge o che semplicemente ne conosce
l'esistenza) sia aiutato a passare da individuo a cittadino. E da cittadino ad
appartenente ad un popolo. In un processo di convocazione che induce partecipazione, mobilitazione e trasformazione.
Mi pare che un grande compito possibile, conseguenza dell'essere fedele ai poveri, sia esercitare in modo nuovo la tutela dei diritti, tramite forme di accompagnamento e cura delle persone e delle comunità. Con processi in grado di produrre partecipazione e Capacitazione ed un welfare (ben-essere) comunitario, generativo, solidale e trasnazione …
Se questo è l'orizzonte... non abbiamo che da sbizzarrirci per capire cosa fare...
Se questo è l'orizzonte... non abbiamo che da sbizzarrirci per capire cosa fare...
4. Il conflitto e la lotta
Il conflitto esiste. Anzi, i conflitti esistono. Ed hanno un
ruolo nella trasformazione e nello sviluppo della società. I conflitti non possono essere
ignorati. Serve viverli. Serve farsene carico. Ma non si può restare
intrappolati nel conflitto. E non si può restare intrappolati nell'idea che il
conflitto sia, di per sé, automaticamente la chiave del progresso. Credo sia un errore
che abbiamo vissuto in varie fasi storiche.
Il conflitto non può
che essere letto e riconosciuto. Si tratta di immergersi nel conflitto. Di
compatirlo, di soffrirlo. Di posizionarsi all’interno di quello spazio
possibile di creatività che ogni conflitto contiene come opportunità per
rompere schemi troppo limitanti e generare nuovi spazi di conoscenza, di
incontro, di libertà inclusiva. Il conflitto è un propulsore, è un attivatore.
Ma non è di per sé un costruttore e contiene il rischio della distruzione. La trasformazione di conflitti in guerre
distruttive o in processi evolutivi dipende da noi. Questo mi pare valga anche al nostro interno. Ma…per tornare ai poveri…
Potremmo immaginare la lotta di una parte contro le altre. Una
guerra dei poveri contro i ricchi. Finirebbe (forse) in un rovesciamento dei
ruoli. I poveri di oggi che diventano i ricchi di domani. I discriminati di oggi che diventano i discriminatori di domani. Gli esclusi di oggi che diventano gli esclusori di domani...Può essere un riscatto ma...
La fedeltà ai poveri a me pare qualcosa di più. Non una fedeltà solo a chi oggi è povero, discriminati, escluso. Ma la capacità di immaginare una società che non escluda e non produca poveri. E questo non si può raggiungere solo con il conflitto.
La fedeltà ai poveri a me pare qualcosa di più. Non una fedeltà solo a chi oggi è povero, discriminati, escluso. Ma la capacità di immaginare una società che non escluda e non produca poveri. E questo non si può raggiungere solo con il conflitto.
Penso al rapporto tra Nord e Sud in Italia.
Penso alla contrapposizione tra responsabilità e giustizia in Europa.
Penso alla necessità di coalizione dei diversi soggetti del mondo del lavoro...
Penso a tutto ciò che si muove attorno alla contrapposizione gender/famiglia che diventa conflitto tra cattolici e laici, tra valori ed idee...
E tante altre cose...
Penso alla contrapposizione tra responsabilità e giustizia in Europa.
Penso alla necessità di coalizione dei diversi soggetti del mondo del lavoro...
Penso a tutto ciò che si muove attorno alla contrapposizione gender/famiglia che diventa conflitto tra cattolici e laici, tra valori ed idee...
E tante altre cose...
Credo che esercitare in modo coraggioso e creativo l'essere soggetto di frontiera, accrescendo la capacità di trasformare i conflitti in modo costruttivo, coniugando una chiara identità specifica in un'orizzonte più ampio... sia un grande compito possibile per Acli fedeli ai poveri.
5. Non la sfera ma il poliedro
Il tutto è superiore alla parte. Ma il tutto non può annullare
la parte. Il modello di riferimento non è la sfera. La sfera è un tutto che
annulla la parte. La parte non è più visibile, scompare. E' un'idea di bene
comune ridotto ad una unica visione che finisce per diventare bene privato. Il
modello è il poliedro. Il poliedro è un unico in cui le parti sono ancora
riconoscibili. In cui il bene comune non annulla i beni specifici e le
identità. Bontà, verità, bellezza, dimensioni diverse in una unità che ricompone senza
annullare.
6. Il tempo della speranza
L'abbiamo letto tutti nell'Evangelii Gaudium: é il tempo che
governa gli spazi e li illumna e li trasforma in una catena, in un processo.
Festeggiamo i 70 anni. Leggiamo storicamente il processo di una associazione
che si misura in quanto sa attivare processi, nel tempo. Con orizzonti più o
meno chiari, ma senza sottostare alla dittatura dell'oggi. "Quello che non
avviene oggi, non è" "Oggi o mai più" No! la virtù da coltivare è anche quelle della Speranza.
La Speranza non è l'ottimismo. La speranza è l'assunzione di una fatica
declinata con la pazienza e con la consapevolezza che a noi tocca fare la
nostra parte ma che non tutto può dipendere da noi.
Dicono che quando Papa Francesco era Cardinale in Argentina e i
preti delle periferie andavano a presentargli le idee, i progetti, le
intenzioni... lui ascoltava, interrogava, approfondiva e quando vedeva che il
progetto aveva a che fare con qualcosa per cui valesse la pena davvero,
diceva.... "se lo vedete cominciate".
Ecco...
io credo che la sfida dei 70 anni possa essere questa.... riconoscere quale è oggi il nostro nuovo compito, il qualcosa per cui vale la pena lottare, e poi...semplicemente... cominciare
a fare la nostra parte per far continuare la storia...
(più o meno, difficoltà di microfono permettendo) è l'intervento fatto a Catania per il #70anniAcli organizzati dalle Acli Sicilia.