FQCP: Faccio quello che posso...



Da quando sono diventata mamma, 8 anni fa di Pietro e 6 anni e mezzo fa di Giovanni, scrivere di/con loro è diventata un’esigenza.
Perché? Per trovare il mio modo di essere mamma senza smettere di essere Paola, forse.
Per provare a trasformare in qualcosa di utile il senso di perenne inadeguatezza che ti prende quando ti ritrovi a combinare l’incombinabile e ti resta sempre fuori un pezzo, o di qui o di là.
Per questo ho iniziato ad appuntarmi e condividere “le frasette”. Stralci di conversazioni con loro, prima chiamandoli “citazioni domestiche. frasi dal quotidiano di bimbi in crescita” poi abbreviando con #openfamiglia.

Fanne un libro, mi diceva qualcuno.
Però ci sono sempre molte remore nel parlare e scrivere di figli in pubblico.
E se poi diventa troppo un mettersi in mostra mio?
E se, soprattutto crescendo, il mio scrivere quel che dicono li porta a perdere spontaneità?
Il libro non mi sembra la strada giusta per rispondere alle esigenze.
Cerco maggiore scambio con altri genitori, non maggiore visibilità.
Vorrei più dialoghi, non voglio impaginare meglio i miei monologhi…

Il primo amo per questo blog me l’ha lanciato Emanuele Patti qualche tempo fa.
Sono stata subito curiosa. Mi è piaciuto il titolo, il tono. Mi ha fatto sorridere l’ambientazione svizzera (a me nata appena prima del confine).
Mi ha intrigato molto il sottotraccia da espatriati (non credo sia un particolare secondario, parlare di genitorialità e famiglie, nel presente, è avere a che fare con identità composite, spostamenti, trasformazioni, periferie e confini).

Quest’estate ero in giro a piedi per il cammino di Francesco. 140 km in 7 giorni. Avevo chiesto alla famiglia (appunto) il regalo di una settimana da sola. E in mezzo alle montagne, mentre metabolizzavo la saggezza difficile e basilare del sentiero (che ciò che ti porti addosso pesa, che se hai scarpe sbagliate ti fanno male i piedi, che in salita devi imparare ad andare piano…) mi domandavo se sarei arrivata ad Assisi. E mi sono risposta “Oh, io faccio quel che posso”.
Si, perché “Faccio quel che posso” è una policy perfetta. Contiene un lato rassicurante. Quel che posso, niente di più. Ma anche un lato che affida una responsabilità. Quel che posso, niente di meno. E allora in mezzo al bosco, ho acceso il cellulare, cercato la linea e seduta su un sasso, ho scritto un messaggio in una chat per mettermi in contatto con Alessandra Spada (che non conoscevo).

Non sapevo esattamente cosa ne poteva venire fuori. E non lo so nemmeno ora. 
Ma mi piace l’idea di partecipare a qualcosa che contiene il seme di un “noi” (convivere credo sia la sfida dell’oggi) e che prova a farlo in uno spazio delicato e sensibile come quello online (credo la rete sia uno spazio da abitare, non uno strumento da usare).

Io mi trovo più a mio agio nel trascrivere le frasette dei bimbi piuttosto che post riflessivi miei, il più delle volte.
E con Alessandra si sono visti subito tutti i pro e contro della cosa.
Che sono spesso post molto brevi, non l’ideale per un blog.
Che gli autori sono i figli, spesso piccoli, e quindi va concordata con loro la pubblicazione.
Che non si vuole diventi una collezione solo di frasi buffe e che, in nessun caso, deve essere un modo di mettere in ridicolo o in imbarazzo i bambini.
Che scrivere scrivere le frasi dei figli può dar l’idea che si pensi che i propri figli siano speciali.
In realtà non lo sono. O meglio, lo sono come ogni essere umano al mondo è unico e speciale.
Ma i bambini, tutti i bambini, hanno un modo di affrontare le cose che contiene spunti interessantissimi anche per gli adulti.
O perché affrontano in modo diretto temi topici (il tempo, lo spazio, la morte, il senso delle cose…).
O perché ribaltano il nostro modo di vedere.

Quindi per me scrivere “le frasette” su un blog come questo vuol dire esplicitare che mi piacerebbe leggere “le frasette” degli altri. Mettere in circolo più punti di vista diversi della realtà. Esercitare quella che è stata chiamata “Contemplazione riconoscente”. 
Se si vede qualcosa di bello, si cerca di fermarsi un attimo, per esserne grati e felici.

Questo è il post che è uscito oggi su Faccio Quello Che Posso. Quei fiori sono un bellissimo disegno di Alessandra Spada, che è la mamma di FQCP. Io suggerirei di dare un'occhiata al blog. Che secondo me è molto più fecondo del #fertilityday, per dire. 
Poi magari vi viene voglia pure di scrivere la vostra (valido per madri e padri). 


15 cose (ovvie) che ho (re)imparato andando a piedi.



1. Tutto ciò che ti porti pesa.
(pensieri compresi)

2. Anche un peso piccolo, portato per un tempo lungo, è un peso grande.

3. È essenziale imparare a distinguere ciò che è superfluo da ciò che è essenziale.
(E non c'entra con la distinzione bene/male)

4. Non si parte mai da zero. Hai sempre nelle gambe il tratto di strada precedente. Ed è mix di esperienza ed acciacchi.
(Non puoi aspettare di star bene per andare. La condizione perfetta non esiste)

5. Non ci sono scorciatoie che tengano: la salita o è lunga o è ripida.
(E tutto pianura è noioso)

6. Per le salite (e discese) ripide si fanno i tornanti.
(Cioè quella cosa che sembra un apparente, inutile, avanti e indietro)

7. Anche le salite ripide e lunghe sono affrontabili.
(ma serve trovare il giusto passo)

8. Non esiste un passo giusto per tutti e per sempre. Il passo giusto non lo scegli, lo trovi, ci vuole orecchio, per questo serve re-imparare ad ascoltare.
(Il silenzio aiuta)

9. Andare da soli vuol dire che nessuno ti obbliga ad un passo che non è il tuo. Ma pure che nessuno ti aiuta a ritrovare il giusto passo quando lo perdi.
(Poi non si è mai così soli da essere davvero da soli)

10. Ciò che ti protegge e ti è di supporto a volte ti ostacola e ti ferisce.
(E viceversa)

11. Ogni cammino è ricco di incontri.
(Pensare che ogni incontro possa diventare uno stabile compagno di strada è ingenuità adolescenziale. Non riconoscere la bellezza e la ricchezza anche di pochi passi condivisi è aridità e spreco)

12. Noi non abbiamo un corpo. Noi siamo (anche) corpo.
(L'idea che il primo sia solo un semplice contenitore del secondo è una banalità fuorviante)

13. Non serve pianificare in dettaglio tempi, soste, modi.... Si cammina sempre un passo alla volta. 
(Ma è indispensabile aver chiara la direzione)

14. C'è più bello che brutto attorno a noi. È evidente. Eppure a volte ci vuole un po' di allenamento per reimparare a vederlo.
(Rallentare la velocità aiuta)

15. Il sole illumina e riscalda (ma scotta). L'ombra è piacevole. La pioggia bagna, non uccide. L'acqua disseta. Il cibo nutre. Il sonno ritempra. La pianura riposa...

...poi c'è anche altro, ma quello sono fatti miei...

(Cosa è stato il mio #apiedi questa estate si trova spiegato qui anche se i dettagli di sintesi sono ancora da completare) 

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...