Difensore dei deboli



Testimonianza di Willy Labor, figlio di Livio Labor. 

Sono Willy, sono il secondo figlio di Livio Labor, i miei fratelli Marcello ed Enzo sono qui in prima fila e mi hanno dato l’onore e l’onere di dire due parole su papà. Non è facile. Non parlo abitualmente in pubblico. Sono un povero giornalista. Non è facile, dopo le belle parole di Mons. Galantino. La brutta notizia è che non sono abituato. La buona è che sarò breve, perché ho scritto qualcosa.

Volevo ringraziare le Acli e il Presidente per aver scelto di dedicare questa scuola alle Acli. Ci sono varie sedi Acli in giro che hanno pensato di dedicare il nome. Anche in Svizzera c’è una sede Acli dedicata a papà. A Roma c’è anche un piccolo parco che prende il suo nome, nella zona dei sindacalisti, vicino c’è anche Viale Sacco e Vanzetti, rivoluzionari, la prendiamo come un auspicio. Per dire, papà ha avuto riconoscimenti terreni. Ma sapere che le Acli nazionali, cioè il posto che è stato per lui la sua casa e seconda famiglia, hanno deciso di dedicargli la scuola centrale, lo capirete anche dalla inflessione della mia voce, questo è per noi motivo di orgoglio. Anche perché arriva a quasi 50 anni da quando lasciò la presidenza delle Acli. Lasciò perché aveva deciso che il suo contributo era richiesto nel campo della politica attiva. O meglio, della politica partitica, che anche le Acli erano politica attiva. 

Oggi i politici nascono e muoiono nel tempo di 2-3 tweet. Di fronte a questo, pensare ad una vita dedicata a delle idee coerenti, da perseguire con tenacia nel tempo, magari è più difficile e faticoso. Ma resta nel tempo. Sono andato a vedere quello che succedeva nel 69, quando papà ha lasciato le Acli. C’erano ministri per me sconosciuti. Ho visto che l’uomo non era ancora andato sulla luna. Ci andò dopo. Era un’altra epoca. Per questo  ci riempie di orgoglio che l’opera di papà abbia ancora senso oggi. Dopo 50 anni. 

Papà era particolarmente legato alla formazione. Nasceva con la formazione. Quando decise di smettere con la politica, tornò a fare formazione professionale, accetto la presidenza Isfol. E disse: torno ad occuparmi di formazione, torno dove ho iniziato. Era convinto della necessità di formazione continua. Il primo cui applicava questo principio era lui stesso. Noi lo ricordiamo in spiaggia, mentre altri leggevano romanzi o riviste, lui leggeva rapporti e relazioni e diceva che era il suo divertimento. La politica lo aveva abbastanza deluso, per la ricerca di compromessi, cui non era portato.

Noi siamo nati tutti nel tempo della sua presidenza, negli anni 60, con noi c’era poco. Quando sono nato io non c’era, è arrivato dopo. Ma cercava sempre, la domenica, di dedicarla alla famiglia. La domenica era sacra. Non sempre ci riusciva. 

Alle Acli papà e mamma si sono conosciuti. Mamma era delegata. Le Acli sono state sempre nostre concorrenti, per quello che riguarda la famiglia Labor. Papà, nonostante questo, è stato un padre presente. Presente rispetto all’importanza di indicare una strada ai figli: giusto, leale e coraggioso. Diceva sempre. Un po’ rompeva anche. Ma sono cose che ancora oggi uno sente dentro. Giusto, leale, coraggioso. E anche “Smetti di fumare che fa male”. 

Devo dire che papà è sempre stato attivo e motivato, anche ad 80 anni, era pieno di idee. L’ultima parte della vista l’ha dedicata agli anziani. Nessuno se ne occupava, anche se la popolazione invecchiava. L’apparente disinteresse della classe dirigente lo aveva spinto in questo campo. 

A 50 anni era il Presidente Nazionale delle Acli. Le Acli erano in uno dei momenti di maggiore popolarità e potere. La consulta dei parlamentari aclisti era di 35 unità. Una corrente. Le Acli influivano sulle nomine governative. Era il massimo della popolarità e del potere. Per una convinzione personale decise di lasciare, per correre il rischio della politica, che la sua coscienza gli imponeva di prendere. 

La scelta di lasciare la DC ai tempi, voleva dire rompere l’unità politica dei cattolici. E in particolare dei cattolici aclisti, che avrebbero potuto votare secondo coscienza. Fu una presa di posizione dirompente. Giulio Andreotti scrive: fu il primo dirigente cristiano a professare e praticare il non collateralismo, generando una serie di reazioni importanti per la paura delle conseguenze politiche di questa scelta. Che oggi i cattolici votino destra, sinistra e centro è normale. Allora era una cosa scandalosa, nel senso biblico del termine. 

Era una scelta anche per liberare la Chiesa da responsabilità che erano dei politici. Gli costò l’accusa di essersi allontanano dalla Chiesa, di essere marxista comunista. Questo lo fece soffrire molto. In molti ambienti ci dissero “Più che amico dei preti, per noi era un prete”. Era molto legato alla gerarchi vaticana. Essere accusato di essersi staccato dalla Chiesa è stato motivo di molta sofferenza. Ci sono stati una serie di episodi che lo hanno molto amareggiato. 

Una volta, quando papà aveva appena lasciato le Acli, un amico venne con noi in macchina mentre  tornavamo dal campo scout. Suo papà, visto il periodo, disse a lui “Attento, perché sai, si è un po’ allontanato dalla Chiesa”. Come dire: se ti dice qualcosa, non ci credere. Questo mio amico venne con noi,  durante il viaggio ci fermammo e andammo a Messa. Avevamo 8, 9 e 10 anni. Al termine della Messa papà aveva abitudine di restare a pregare. E quel giorno evidentemente aveva questioni importanti da discutere con nostro Signore. Per cui restammo mezzora in chiesa dopo la fine della Messa. Molti anni dopo quell’amico ci raccontò che tornò a casa e dissè al papà: “Fortuna che si era allontanato dalla Chiesa, se no ci restavamo 3 ore!”.

Probabilmente papà ha avuto meno riconoscimenti terreni di quanto meritasse. Ma il giorno dopo la sua morte, uno dei principali quotidiani italiani, quello che lui leggeva, titolava: Morto Labor, difensore dei deboli. A quale riconoscimento maggiore potrebbe aspirare? 

Auguro a questa scuola di formare molti difensori dei deboli.

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

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